La riqualificazione urbana di Porto Marghera parte dal VEGA. E ha la forma di un albero

Porto Marghera, tra industria e città-giardino

Prima di giungere alla laguna di Venezia, la Serenissima, città dell’amore e patrimonio dell’Unesco dal 1987, dobbiamo percorrere il Ponte della Libertà, costruito a fine Ottocento per collegare la città galleggiante con il continente. Mentre lo attraversiamo, se volgiamo lo sguardo alla nostra destra, quello che vediamo è un agglomerato di ciminiere, silos e condotte, coperti da una coltre indissolubile di fumi: è il polo industriale di Porto Marghera, sviluppatosi nei primi decenni del Novecento e annoverabile tra le più grandi aree industriali d’Europa.

Porto Marghera è l’area industriale di Marghera, località del Comune di Venezia, il cui toponimo vale un piccolo excursus. La tradizione vuole che Marghera derivi da el mar ghe gera (il mare che c’era), ad indicare l’area un tempo paludosa dove sarebbe sorto il porto di Venezia. Tuttavia, prima della costruzione del porto, l’area era conosciuta come Bottenighi, mentre il nome Marghera veniva già utilizzato per indicare una piccola borgata poco più in là (nell’odierna località San Giuliano Mestre) che dopo la caduta della Repubblica Veneta nel 1797, venne sostituito da una base militare, il Forte Marghera. In realtà, una delle teorie più accreditate che spiegherebbe l’origine del toponimo è quella di Wladimiro Dorigo, storico italiano che faceva risalire il nome a Maceria, riferendosi ai muri a secco utilizzati dai romani per delimitare i propri possedimenti.

Marghera deve buona parte del suo sviluppo al proprio polo industriale e le esigenze che portarono alla sua fondazione furono principalmente due: il bisogno di convertire il settore primario veneto in quello secondario, al fine di competere con il triangolo industriale del Nord-Ovest; la necessità di Venezia di avere un porto moderno che tuttavia non poteva essere costruito nella laguna. Fu così che a cominciare dall’inizio del XX secolo, alle porte di Venezia si insediarono industrie chimiche, petrolifere e di trasformazione di materie prime, che resero Porto Marghera uno dei più importanti poli chimici d’Europa e, dopo il declino dell’industria chimica, uno dei Siti di Interesse Nazionale individuati dal Ministero dell’Ambiente.

Nel 1922, mentre nella prima area industriale sorgevano i primi stabilimenti (Cantiere Navale Breda, ILVA, Società Veneta Fertilizzanti e Prodotti Chimici), l’ingegnere milanese Pietro Emilio Emmer, a cui era stato affidato il piano regolatore, progettava l’area residenziale sul modello della città-giardino di Ebenezer Howard. Marghera sarebbe dovuta diventare una città a misura d’uomo, unendo gli agi e le comodità della vita urbana con gli aspetti sani e genuini della vita di campagna. Malgrado gli sforzi iniziali, l’idea di Emmer si rivelò inconciliabile con lo sviluppo industriale dell’area, ed il progetto venne ben presto abbandonato. Ciò nonostante, l’ideale utopico di Emmer ha lasciato in eredità viali ampi e quartieri popolari con molto verde, che fanno da contraltare ai palazzoni e alle industrie che si affacciano sulla tangenziale.

Questa prima fase di sviluppo delle prime due aree industriali, avvenuto tra il 1920 ed il 1958, fu la causa del picco occupazionale dei primi anni anni Settanta a cui seguì un inesorabile declino dovuto alla crisi petrolifera e dell’industria pesante, così come alle problematiche ambientali. Da allora, il mantra “bisogna rilanciare Marghera” non ha smesso di essere ripetuto.2016-01-20 (2)——————————————————

Il Parco Scientifico Tecnologico VEGA

Spesse volte i cosiddetti brownfields, siti già utilizzati per industrie, aree commerciali o militari, vengono abbandonati a causa degli alti costi di smantellamento e di bonifica. Gli impianti e le infrastrutture rimangono in disuso, talvolta continuando ad inquinare l’ambiente e a danneggiare la salute delle persone. La riqualificazione delle aree dismesse ha un impatto non solo su ambiente e salute, ma anche sull’economia. Essa rientra fra le azioni eco-compatibili per la crescita economica (green solutions for economic growth) grazie alla creazione di contesti adatti alle relazioni sociali e alla conseguente creazione di nuovi posti di lavoro.

Rifacendosi a questo concetto, dagli anni Novanta sia il Pubblico (Regione Veneto, Comune di Venezia) che il Privato (ENI e Camera di commercio di Venezia fra gli altri) hanno avviato il processo di riconversione industriale e di risanamento ambientale di Porto Marghera, a partira dalla prima zona industriale. È qui che nel 1993 nasce il Parco Scientifico Tecnologico di Venezia, il VEGA, con lo scopo di promuovere lo sviluppo dell’ex area industriale. Il VEGA ha promosso la trasformazione urbana di aree industriali dismesse all’interno della macroisola Nord di Porto Marghera, attivando iniziative imprenditoriali nel campo della ricerca e dell’innovazione, in sinergia con le università, le principali istituzioni e le imprese locali. Attualmente gli oltre 80.000 mq di uffici e laboratori del VEGA ospitano 200 imprese e 2000 addetti, per un volume di affari di oltre 200 milioni di euro. Inoltre, il VEGA è attivo nel campo dell’innovazione imprenditoriale con un incubatore certificato che ospita 24 startup innovative e una spesa media degli investimenti in ricerca del 18% sul fatturato globale.

Si tratta di una bella realtà imprenditoriale locale che potrebbe essere il punto di partenza del progetto di rinnovamento urbano di Porto Marghera. Ad inizio 2015 è stato firmato l’accordo di programma tra Ministero dello Sviluppo economico, Regione Veneto, Comune di Venezia e Autorità portuale per il recupero delle aree dismesse. 153 milioni di euro sono stati messi a disposizione per la riqualificazione dell’area ed i lavori sono già in corso. Parte di questi soldi (24 milioni) verranno utilizzati per finanziare il progetto di trasformazione urbanistico-ambientale VEGA Waterfront, un progetto che mira a “rilanciare Marghera”, così come si ripete da ormai molto tempo.

Il progetto VEGA Waterfront

Il progetto VEGA Waterfront dell’architetto Andreas Kipar è un progetto di riqualificazione che riguarda le rive della terraferma lagunare che si estende nella macroisola Nord di Porto Marghera e che circonda il VEGA. Esso cerca nuove formule per sostenere e rilanciare l’area, risolvendo le criticità che la caratterizzano, tra cui l’insufficienza degli spazi pubblici, la bassa varietà delle attività economiche e l’inquinamento del suolo. Il territorio veneziano vede la coesistenza di uno dei più importanti e delicati patrimoni ambientali, artistici e culturali con una delle più vaste aree industriali europee in cerca di una propria via di riconversione, sia fisica che economica. Questa particolare condizione necessita di un nuovo paradigma che fornisca prospettive concrete per uno sviluppo economico ed urbano sostenibile.3_CHIOMA l'entroterra di Venezia, vero terreno di sviluppo futuro della citt_ lagunare

L’immagine nuova a cui si ispira il progetto VEGA Waterfront è quella che vede Venezia come un albero che affonda le proprie radici nella laguna e nella sua storia, ma che sviluppa la propria chioma sulla terraferma, nei luoghi della produzione, dell’innovazione, della scienza. La chiamano “Green Tree Strategy: essa dovrebbe permettere di dare nuova linfa alla città metropolitana di Venezia attraverso la valorizzazione del territorio di terraferma.

Il tutto parte dalla dismissione graduale dell’industria e si prevede che le nuove “infrastrutture verdi”, permetteranno di riqualificare gli spazi pubblici in attesa di nuove forme d’uso. Lo sbilanciamento nel rapporto fra brownfield e greenfield dimostra il bisogno di rompere il precedente assetto industriale creando nuove connessioni verdi. Se attualmente vi sono delle distinzioni nette fra le varie aree (per cui la Macroisola Nord è il polo dell’innovazione, Forte Marghera ha strettamente un carattere di leisure e tempo libero, l’area dei Pili e Darsena sono esclusivamente hub di scambi intermodali), la creazione di nuovi spazi verdi nel waterfront di Porto Marghera permetterebbe di metterle in comunicazione, promuovendo gli scambi relazionali ed economici.

In tutto il mondo è in atto un processo di recupero di vecchie aree portuali o industriali, che vengono trasformate in luoghi vivaci e centrali nella vita comunitaria sfruttando le amenità naturali, quali specchi d’acqua e vegetazione. Tra gli esempi più noti ricordiamo Hafen City ad Amburgo, Quais de Seine Rive Gauche e Coulée verte René-Dumont a Parigi, Krymskaya waterfront a Mosca, Ile de Nantes a Nantes, la High Line a New York e Odaiba a Tokyo, giusto per citarne alcuni.

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A Porto Marghera tutto questo non è ancora avvenuto, ma il progetto VEGA Waterfront, avallato dagli esempi virtuosi di rigenerazione urbana delle città sopracitate, fa ben sperare. Ed è stato un messaggio di speranza quello del 50×50 Venice Green Dream, installazione di Andreas Kipar all’interno della tredicesima Biennale di Architettura del 2012: un greenfield quadrato di lato 50 metri, che simboleggia la prima foglia della chioma che si svilupperà a Porto Marghera. A questa prima “foglia” ha fatto seguito il progetto Primo Ramo, un viale pedonale che farà da asse portante per lo sviluppo dei rami successivi. Il Mantra “Bisogna rilanciare Marghera” è più vivo che mai e le risorse per portare a compimento il progetto ci sono. Potrebbe essere la volta buona, sempre che queste risorse vengano ben utilizzate e le bonifiche ultimate.————-

 

Luca Manisera